lunedì 28 febbraio 2011

domenica 27 febbraio 2011

Delle ferite del leone e della saggezza del sasso

Le tre metamorfosi di Zarathustra

"La mia forza presi in mano e andai contro al mondo, / ... presi la mira, lanciai il sasso / ma fui la sola a cadere". (E. Dickinson)

Come legare Nietzsche e il suo leone al sasso di Emily Dickinson? A tutta prima, leggendo il breve passo della scrittrice, si è tentati dal pessimismo. Una persona si arma verso il mondo e si schianta, vinta. Non c'è speranza, dunque?
Il leone di Zarathustra mi ha da sempre affascinata. L'"io voglio" forse riassume il mio credo: la fiducia nel poter andare oltre tutto ciò che diamo per scontato. Millenni di storia che hanno plasmato la nostra cultura, pochi decenni di televisione che hanno costruito nuovi valori (o disvalori) e nuove morali (quanta moralità dalla bocca di tutti!). Mi sono sempre sentita chiamata a scardinare tutto questo, a chiedermi il perché di tutto, a mettere in discussione qualsiasi cosa per decidere della sua morte o della sua salvezza. Trasformare l'"io devo" in "io voglio", cambiare prospettiva. Perché devo fare qualcosa? Non sarebbe poi meraviglioso se capissi che è anche ciò che voglio? Ho compreso che potevo farlo, che chiunque può farlo, che questa sottigliezza non era affatto banale e che era l'ingresso verso il pensiero libero.
Ogni cosa però rivela ben presto le sue difficoltà, ed eccomi come la Dickinson, a far guerra contro il "mondo" e ad accorgermi che "l'impari confronto mi butta indietro verso regioni troppo presto abbandonate" (L. Muraro). Le regioni che ho abbandonato troppo presto sono ciò che forse non ho mai smesso di essere, pur non accettandolo. Per fare un esempio: apprendete un concetto che vi sembra vi appartenga e immediatamente, esultanti, vi sentite in grado di metterlo a compimento nel migliore dei modi, fiduciosi che non sbaglierete, perché la verità che tenete in mano è troppo forte. Solo che, forse, non è ancora così radicata, non ancora del tutto compresa, in parte travisata.

Rispondere alla chiamata di andare "oltre" è un obbligo etico che sento, e continuo a sentire. Sognare e teorizzare di farcela è un po' come immaginare l'infinito oltre la siepe di Leopardi. Alzarsi e partire è ciò che si dovrebbe sentire di fare per se stessi. Ecco che, allora, se le nostre "armi", le nostre conoscenze appena apprese con gioia, sono ancora acerbe o utilizzate male, a volte capita di azzardare, e di incominciare a combattere battaglie dall'esito incerto.
Forse non è nemmeno questo il problema. Non la certezza: ogni scommessa è dubbia, per definizione.
Allora perché capita che il lancio del sasso faccia cadere noi?
Io ho cercato di andare oltre ogni ragionevole limite del mio essere.
Sono capitata nel mezzo di una battaglia che non avevo cercato, e tuttavia non mi sono ritirata. Consapevole di possedere la visione e la forza del leone mi sono gettata nel bel mezzo della confusione, della delusione e dello sconforto. Lì, sul campo di battaglia, ho creduto di scorgere un bagliore, una scaglia dorata del drago "io devo". Forse ho voluto vederla, per dare un senso immediato a ciò che stavo provando, a quello che mi si chiedeva di fare, al tumulto in cui mi ero ritrovata. In cerca disperata di una risposta alla domanda "Posso fare ciò che mi viene chiesto? Posso andare così oltre le mie convinzioni e i miei limiti?". La risposta "sì" implicava necessariamente la presenza di un drago su cui avventarmi, e proprio perché avrei disperatamente voluto rispondere "sì" ho creduto di vederlo.
Ricordo di aver detto: "Ho combattuto contro una delle scaglie d'oro del drago con ogni violenza, perché questa volta era un nemico impossibile. Ora sono stanca, e non so ancora quale sarà l'esito di questo scontro. Sono però carica di rabbia e smonterò il mio campo urlando, prima di addormentarmi".
Emily Dickinson scagliò il sasso, ma fu lei a cadere. Io mi gettai sul drago, ma trovai su di me le ferite.
Il drago? Una illusione. Il nemico? Me stessa.
Terminata la follia ero io ad aver perso contro quella che non avevo riconosciuto essere la mia vera volontà. Ho ringraziato il dolore che ho sentito, perché mi ha dato la possibilità di conoscere di più chi sono. Dico di più perché mi trovo ancora in medias res. Attraversavo una "landa di insensatezza", convinta che non lo fosse, ma "ho lasciato entrare nella mia mente un semplice pensiero" (L. Muraro) che mi ha aiutata a ritrovarmi, ed è questo: il limite.
Le persone parlano di limiti come di una cosa tendenzialmente negativa, e anche io la vedevo così. Però, dopo essere caduta nel tentativo di lanciare il sasso, ho compreso che posso vedere i limiti come dei paletti che definiscono i confini di ognuno di noi. Ogni tanto, ma costantemente, dovremmo occuparcene. A volte vanno sradicati, ripuliti, e ripiantati sempre più in là, per comprendere nuova terra fertile, nuovi orizzonti. Vanno rimossi e riposizionati per cancellare i vari "io devo", cioè i dogmi, le certezze mai messe in discussione. Però non possiamo fingere che non esistano, non possiamo non accettarli. Ho capito che è bene che mi renda conto - che tutti ci rendiamo conto - che quei limiti sono anche le radici più profonde del nostro essere, il disegno della nostra sagoma in continua trasformazione, i nostri "io voglio", anche se temporanei e in crescita.
"Fine del servizio simbolico, eccomi indipendente dall'universale, assoluta nel senso letterale e figurato della parola, sciolta da comparazioni, incomparabile, incondizionata, libera". (L. Muraro)
E tutto grazie alla saggezza del sasso e alle ferite del leone.

mercoledì 16 febbraio 2011

Delicatezza: Tran Nguyen

"Forse l'immobilità delle cose che ci circondano è imposta loro dalla nostra certezza che si tratta proprio di quelle cose e non di altre, dall'immobilità del nostro pensiero nei loro confronti". (Proust - Alla ricerca del tempo perduto)

Delicatezza: Tran Nguyen




Source: DeviantArt

martedì 15 febbraio 2011

Curiosità... ma va?

Colgo l'occasione per ringraziare tutti i lettori e farvi una domandina che mi prude da un po': dove avete incontrato questo blog? (considerato che, anche impegnandomi a cercarlo, non lo trovo?) :)

Merci à vous!

Imaginism: Bobby Chiu & Kei Acedera

Con questo post inauguro un'iniziativa che avrà continuità. Proporrò infatti album di diversi artisti, contemporanei e non, perché anche l'arte contribuisce all'"estensione mentale"!
Spero la novità vi sia gradita e che la vostra fantasia possa, con essa, portarvi lontano...

Imaginism: Bobby Chiu & Kei Acedera




















Source: DeviantArt

lunedì 14 febbraio 2011

Essere archeologi in un mondo dove Roberto Giacobbo esiste

Sollecitata da un simpatico lettore, che dopo "I ben vestiti" è spaventato all'idea di incontrare un'archeologa che lo aggredisca se usa la parola "dinosauro", scrivo questo intervento per tranquillizzarlo. :)

Il mestiere dell'archeologo ha sempre goduto di estrema popolarità dacché è nato. E' più volte confuso con quello del pioniere che, giusto per sapere, non esiste più (anche in parte purtroppo), ma che è comunque parte integrante della nascita di questa professione.
L'archeologia richiama immancabilmente il deserto, le piramidi, i ben noti pennellini, qualche lavoratore schiavizzato con tratti nord-africani, la frusta di Indiana Jones, il cappello di Indiana Jones e le tette di Lara Croft.
Credo che anche noi, archeologi reali, quando eravamo piccoli pensavamo più o meno alle stesse cose. Sono sicura che nessuno di noi, che oggi perde giustamente la voce nel vano tentativo di predicare che "gli archeologi non scavano dinosauri", quando si collezionava gli ossicini dei giornaletti a scadenza mensile, pensava minimamente che esistesse una disciplina chiamata Paleontologia e che si occupa giusto di quello.
Ognuno di noi, poi, ha avuto storie diverse alle spalle, prima di ricevere la "vocazione". Per quanto mi riguarda avevo una vera fissa per il medioevo, con parecchi  cliché allegati: castelli possenti e turriti come quello di Walt Disney, meravigliose principesse, valorosi guerrieri con corazze lucenti, trabocchetti e via dicendo. Più crescevo e più, però, si faceva impellente in me la domanda: come vivevano? Dove abitavano? Come parlavano? Insomma, si faceva strada il pensiero che fossero molto simili a noi, che soffrissero gli stessi mali e che ridessero per le stesse gioie, e che poco fosse diverso dal nostro mondo, ma proprio quella diversità mi incuriosiva così tanto.
Prima che uscisse X-files nemmeno mi ero posta il problema che esistessero gli alieni, e nessuno faceva chimerici collegamenti fra l'archeologia e gli extra-terrestri.
Ecco, in effetti c'è stato un episodio, ormai presente nell'immaginario collettivo, che ha contribuito alla confusione: Stargate. Ricordo perfettamente quando andai a vederlo al cinema con il mio papà, appassionato di fantasy e fantascienza (come me, del resto). Mi era pure piaciuto, e finita là.
Io ignoro chi sia stato il genio che si è domandato per la prima volta "e se fosse vero?" e ha cominciato a fracassare le palle a tutti per convincerli che non c'erano prove che tutto ciò fosse falso, perché era la sua teoria contro... contro chi fino a quel momento si era smazzato di fatica fisica e sudore psicologico, e non, per raccontare la storia di 'sti poveri egizi la cui unica colpa era stata quella di appartenere ad una civiltà più evoluta di altre.
E' un po' come se io dicessi: in casa tua ci sono i Rubacchiotti. E tu puoi spiegarmi all'infinito che sei solo distratto e che è per questo che perdi le cose, ma io ti assillerò a vita sostenendo che non puoi dimostrare che nelle tue stanze non esistono minuscoli esserini che collezionano roba inutile, in quanto è nella loro natura.
Tutto ciò era ampiamente arginabile finché Piero Angela & son raccontavano al pubblico curioso storie reali, ma da non molti anni a questa parte la curiosità è stata monopolizzata da Voyager.

Il peggio che poteva capitare Avanti Giacobbo (a. G.)

Pausa dopo mezza giornata di lavoro sul sito di un villaggio medievale (il top, per una come me). Una simpatica signora interessata si avvicina, bicicletta alla mano.
"Cos'è che state trovando lì?"
"E' un villaggio medievale". Sorriso orgoglioso.
"Ahnn...". Visibile delusione "Non è roba più vecchia? Perché ne hanno trovata qua in giro, sa?"
"Sì, sì, non molto distante, ma questo è medievale".
"Eh! Ma vedrai che anche tu, un giorno, andrai a scavare a Roma, e poi in Egitto!"
Comprendo che la signora pensa ci sia un iter di carriera che va dall'epoca meno conosciuta (e più sfigata), a quella più pubblicizzata. Ad ogni modo sorrido e le spiego che spero di fare questo per il resto della mia vita. Lei se ne va pensando che io sia una strana ragazza, e niente di più.

Ciò che capita quotidianamente Dopo Giacobbo (d. G.)

"Faccio l'archeologa"
"Nooo, davvero?". Seguono Egitto e dinosauri, ma questo è inevitabile e, per buona pace di tutti i lettori, vi dico che ce lo aspettiamo.
Ovviamente, considerato che credo fermamente nell'importanza dell'informazione, spiego come stanno le cose. Se seguono domande incuriosite, sono felicissima di rispondere (lo sarei e lo sono anche io sui lavori altrui che per un motivo o per l'altro mi interessano).
Il problema nasce quando uno (ed è cronaca) mi dice che si infila di notte in un campo di grano, a piedi nudi, per accendere un fuoco - rito preparatorio ad una seduta spiritica - e in quel momento, alzando lo sguardo, vede un oggetto volante non identificato. E pretende che abbia attinenza con il mio lavoro!

Non fraintendete, non sono una cinica materialista. La mia insaziabile curiosità per un passato popolato da persone che vivevano diversamente da noi (i nostri stranieri per eccellenza, i veri alieni) me lo impedisce. E la cosa più straordinaria è che nel mio lavoro sono costretta ad avvicinarmi il più possibile alla loro mentalità così, grazie a loro, si spalancano mondi di superstizione nei quali le persone convivevano con spiriti, streghe, regioni sconosciute ed animali fantastici. Tutte cose alle quali sono chiamata a credere un po' anche io, insieme a loro, quando studio.
Perciò sono indignata che il programma di una persona nociva come Mr Roberto Giacobbo vada in onda sotto il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali, e che abbia il potere di distruggere in una serata il lavoro di professionisti che otto ore al giorno, per cinque giorni alla settimana, lavorano in cantiere, ampiamente sottopagati e senza garanzie, armati di pala, piccone e cazzuola (e il pennellino manco lo vedono).

Cari lettori, è così che un archeologo è costretto a vivere nell'era di Giacobbo, perciò, vi prego, siate clementi e continuate a pretendere da noi, dalla televisione e soprattutto dal vostro ministero un po' più di serietà.
Grazie! (sigh...)

Io c'ero

Chi di spada ferisce...

Molte donne tradiscono la propria dignità per denaro.
In Israele una donna in-dignata ha ucciso un uomo che la credeva capace di tradire il suo popolo.

domenica 13 febbraio 2011

I ben vestiti

"Dicono (le persone che dovrebbero vergognarsi di se stesse, lo dicono) che la coscienza di essere ben vestiti procura al cuore umano una beatitudine che la religione non ha il potere d'offrire. Temo proprio che questi cinici abbiano ragione". (Jerome K. Jerome)

In fondo, quando ci si prepara per una serata, di qualsiasi tipo, l'ora abbondante  che serve a noi donne per agghindarci è essenziale per sentirci bene con noi stesse. Perfino la scelta demandata ad un accessorio piuttosto che ad un altro dovrebbe trasudare la nostra personalità. Eccoci, bandiere di una corrente di pensiero, uscire allo scoperto consapevoli che il nostro primo impatto sugli altri sarà necessariamente rivolto a bandiere simili.
Sbagliato, ve lo siete mai chieste perché non funziona mai?

Festa da amici con folle di potenziali sconosciuti o serate in locali tra l'alternativo e l'impegnato danno sempre lo stesso risultato.
Mi guardo intorno: facce simpatiche, un paio di tipi carini (magari ce n'è uno che travalica qualsiasi umana definizione, ma solitamente è accompagnato), qualcuno che conosco, qualcuno che conoscono i miei amici, insomma me la passo. Prendo confidenza e mi azzardo ad andare a prendere qualcosa da bere, da sola. Questa è una mossa che lì per lì una non ci pensa, ma è una dichiarazione di "scesa in campo" che non andrebbe sottovalutata, è come andare in giro con una freccia luminosa sulla testa. Problema della freccia: non servirà mai ad avvicinare persone che ti avevano già notata quando eri in gruppo, quindi rimangono i miopi nel cervello che sembra sempre non abbiano mai niente da perdere e si gettano sulla tua miserabile ed ignara carcassa come animali spazzini.
"Permesso..."
"Oh, scusa. Ciao!"
"Ciao...". Mia occhiata per saggiare potenziale molestatore. Pensiero: potrebbe essere normale. Sorriso conciliatore di circostanza: non ti sto giudicando (quant'è falso).
"Come ti chiami?"
Che male c'è a dire i mio nome? "Chiara"
"Come mai qui?"
Questa è una domanda che spalanca i più remoti orizzonti di possibilità. A questo punto, per rispondere in modo esaustivo, forse dovrei raccontargli almeno almeno l'ultimo anno della mia vita. "... Sono qui con amici"
"Ma sei di queste parti?"
"No, abito in *talecittà*"
"Davvero? Esco spesso in *talecittà*!"
Se in *talecittà* langue la vita sociale, a questo punto è scontato che, dall'alto della vostra integerrima convinzione, si potrebbe uscire a fare quattro chiacchiere senza impegno e fare nuove conoscenze. Vi rilasserete. "Evviva! Conosco poche persone là!".
Mai smettere di ascoltare le vocine interiori. Mai essere così fiduciosi che questa persona vi stia parando solo perché vuole conoscervi. Ci sta provando, è matematico. Ma perché essere così pregiudizievoli?
"E come mai abiti in *talecittà*? Cosa fai di bello?"
Pensieri random: ho appena concluso una convivenza andata male, mi appresto a trasferirmi, carica del mio recente fallimento, con un'amica, non conosco nessuno, non voglio pensare che tutte le persone che mi parlano abbiano un secondo fine oltre a quello di fare quattro chiacchiere. Purtroppo sbrodolo tutto questo, caoticamente (senza il pensiero finale, che poi è quello che mi fa dire tutto). Errore mortale. L'altra persona finge comprensione. L'interessamento invece è vero.
"Beh, potremmo scambiarci i numeri, così ci mettiamo d'accordo per vederci in *talecittà*.
Qui sarete di fronte ad un bivio:
a) Sto sulle mie, lo saluto cordialmente e vado a prendere da bere. Così la persona si irrigidirà e la conoscenza del vero se stesso terminerà;
b) Cercare, di nuovo, di superare i pregiudizi nei suoi confronti e dargli la possibilità di rivelarsi per quello che è: dargli il numero (avvertenza: a questo punto la vostra smania di essere una persona per bene che non ha idee preconcette rasenta la cosiddetta "coglionaggine").
Non ho scusanti, ho scelto la b).
Il tipo si rilassa, è ovvio: è fatta.
"Che cosa fai nella vita?"
"L'archeologa"
Sì, questa parola può causare epilessia, andrebbe usata con cautela.
"Noooooo! Che bello! Ho sempre sognato fare l'archeologo" (primo cliché affondato) "e in Egitto ci sei andata?" (secondo cliché affondato) "Sai che quando ero piccolo mi piacevano i dinosauri?" (è troppo).
Risatina nervosa. "Eh... sì, bello, ma non ci occupiamo di dinosauri"
"Io guardo sempre i programmi in televisione sull'archeologia e quelle cose lì". Chissà cosa sono "quelle-cose-lì"? "Tipo Voyager".
Tento inutilmente di fermarlo. I discorsi successivi verteranno su alieni, cerchi nel grano, sedute spiritiche, fantasmi e uomini falena. E tutto quello che riesco a pensare è: gli ho dato il mio numero. gli ho dato il mio numero. gli ho dato il...
Se avete degli amici che vi vogliono veramente bene, ora, noteranno la vostra involontaria smorfia di supplica e vi salveranno. A me, fortunatamente, è successo. Contate che, altrimenti, il mio infinito rispetto per le persone mi avrebbe impedito di dirgli deliberatamente che aveva irrimediabilmente rotto il cazzo, e che oltretutto era un ignorante.
A fine serata, illesa ma con il pensiero del mio numero nelle mani di un pazzo, salgo in macchina.

Per un attimo mi fermo. "Ma perché diavolo non si è accorto di come ero vestita?"

sabato 12 febbraio 2011

giovedì 10 febbraio 2011

Se non ora, quando?

Il Caimano - Scena finale



"Se l'essere umano è l'ente chiamato a decidere il possibile, allora il non pensare liberamente è segno di una vita non vissuta nella sua essenza: una situazione, questa, decisamente problematica, perché fa dipendere il nostro agire dalle decisioni di altri. (...) Infatti chi tende a restare nel non-pensare si adegua passivamente ai nuovi codici senza avvertire la necessità di un'interrogazione etica sulla sensatezza o meno di quanto sta accadendo".

(L. Mortari - A scuola di libertà)

mercoledì 9 febbraio 2011

Una goccia nel mare è acqua in più

E' sufficiente riconoscere orizzonti di senso per riacquistare forza vivifica. Intravederli è farsi lasciare abbagliare. L'apnea è solo una temporanea conseguenza, come lo sguardo implorante lanciato, in quel momento, verso tutti quelli che stanno a vedere, probabilmente senza accorgersi di cosa stanno guardando. Quello sguardo implorante è invece una richiesta, un esserci che pretenderebbe l'esistenza altrui. In quegli istanti di consapevole assenza di soluzioni, forse, sarebbe invece giusto chiedere aiuto a sé stessi e sbrogliare una matassa intricata. Troppo spesso si vorrebbe insegnare ad altri ciò che si è appena appreso, qualcosa che forse non si è ancora iniziato ad interiorizzare e che magari ci si sta ancora finendo di domandare.
Siamo chiamati alla comprensione, con un po' di timore, ma con sicura fiducia.
Quanto si decide dove finisce l'inadeguatezza, e quanto invece si dovrebbe attendere, lungo il cammino, che si diradi da sola?

Perché ho bisogno di comunicare tutto questo e per quale motivo lo concepisco proprio per condividerlo? Serve a me stessa in quanto tale o mostra la sua efficacia solo quando ritorna a me dopo essere stato donato?
O imposto?
Dove finisce il donare ed inizia l'imposizione? Già esporre questo dubbio è un po' appellarmi ad una assoluzione.

OGNUNO HA UN "SEGRETO". DEVO DAVVERO DIRLO? Questa domanda non esiste se è l'"altro" che viene in aiuto, e che inizia un dialogo. Dal dialogo nasce una reazione, e da questa una relazione.

Perciò mi dico: qualcuno dovrà pure iniziare! Ed inizio, sebbene non proprio convinta, io.

Possiamo stare, tutti, con miliardi di sorrisi, consapevoli che aprire le proprie cornici di pensiero è una chiamata alla quale non possiamo permetterci di non rispondere?
La fede dell'umanità: amare, comprendere le proprie volontà, crescere, trasformarsi, rinascere e ricominciare. Essere liberi di partecipare a tutto questo.

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